I giovani cercano un lavoro smart e sostenibile. Con più tempo libero

Oltre a carriera e aspetti economici per le nuove generazioni gli aspetti più importanti dell’attività lavorativa sono flessibilità di orari, smartworking, welfare aziendale, possibilità di conciliare i tempi di vita-lavoro e sostenibilità. 
Insomma, il lavoro ideale per i giovani deve garantire il work-life balance declinabile nella possibilità di lavorare da remoto e uno stipendio adeguato. Non solo alle competenze, ma anche coerente con il costo della vita.

Dalle survey del centro ricerche Aidp (Associazione italiana direzione personale) emerge che le dimissioni volontarie hanno riguardato nel 70% dei casi giovani tra 26 e 35 anni. E le motivazioni sono state proprio migliori condizioni di lavoro in termini di flessibilità di orari e modalità di lavoro.

Il lavoro ideale è un’eredità della pandemia

La pandemia ha innescato una sorta di ‘rivoluzione’ nella concezione del lavoro. Riscoprire l’importanza di coltivare relazioni e passioni, anche al di là della vocazione professionale, è un’eredità della pandemia.
“Il tema della conciliazione di tempi ed esigenze tra vita e lavoro è sempre più al centro dell’attenzione, non solo dei giovani”, spiega all’Adnkronos/Labitalia Rosario Rasizza, presidente Assosomm e ad Openjobmetis.

Ma il lavoro ideale per i giovani deve anche garantire “un ambiente di lavoro aperto alle novità, quindi innovativo, tecnologico, in cui i giovani possano sentirsi liberi di esprimere le loro idee senza timore e in cui possano apportare, in maniera pragmatica, un valore aggiunto”, conferma Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp.

Più inclusività e responsabilità sociale

Dal canto loro, le aziende mostrano disponibilità nei confronti delle esigenze dei giovani. All’interno delle organizzazioni oggi si ascolta di più.
“Si stanno affermando forme di lavoro sempre più inclusive, socialmente responsabili e sostenibili – continua Marandola -. Gli Hr oggi sono più aperti al dialogo e all’ascolto e credo che questo cambiamento rappresenti, in un’ottica sia sociale sia lavorativa, un’importante svolta”.

E per Rasizza, le aziende “si stanno sempre più allineando, come dimostrano le richieste da parte delle nostre aziende clienti che spesso ci chiedono consulenza in tal senso. Qualche volta, rileviamo qualche resistenza nel prendere in considerazione misure più flessibili e inclusive, ma la strada è ormai segnata lungo questo trend”.

“Oggi sono i candidati a fare un colloquio alle aziende”

“Potremmo quasi dire – sottolinea Rasizza – che oggi sono i candidati, e ancor più se parliamo di giovani, a fare un colloquio ai loro potenziali datori di lavoro. È un segno dei tempi, da non far coincidere necessariamente con una scarsa disponibilità all’impegno e al sacrifico. Per contro, mi piacerebbe vedere una maggiore disponibilità di chi entra nel mercato del lavoro a prendere in considerazione opportunità magari non perfettamente in linea con i propri studi o i propri sogni: a volte, serve un po’ di coraggio e di apertura mentale nel costruirsi esperienze che saranno comunque in grado di fortificare hard e soft skill”.

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Il digitale fa bene alla lettura. Lo dicono gli italiani 

Che sia in formato cartaceo, in digitale o un audiolibro gli italiani abituati a leggere libri sono il 49,6% della popolazione. E se la propensione maggiore è ancora per ‘la carta’ (43%) rispetto ai formati digitali (22,3%) e gli audiolibri (11%), quattro italiani su dieci leggono libri su due o più formati.
Inoltre, un lettore italiano su due dichiara di leggere di più grazie alle librerie online. E per sette italiani su dieci il web facilita la scoperta di nuovi titoli e autori.

È quanto emerge dal report NetRetail Books, lo studio su abitudini di lettura e acquisti digitali di libri degli italiani, realizzato da Netcomm, il Consorzio per il Commercio Digitale Italiano, con il supporto di Amazon, e presentato alla Nuvola dell’Eur alla manifestazione Più libri più liberi.

I lettori forti sono over65 e under25

Inoltre, due lettori su tre pensano che i negozi online e le librerie fisiche siano complementari, ma la quota di lettori è decisamente più elevata tra le donne (55% vs 44,2% uomini), e le fasce d’età con maggiore propensione alla lettura sono rappresentate dagli over 65 (53,8% di lettori) e gli under 25 (52,4%).

In particolare, in queste due fasce sono presenti i cosiddetti lettori forti, ovvero quelli che leggono più di 11 libri in un anno, corrispondenti all’8% della popolazione.
Inoltre, i lettori che più si affidano ai canali online per informazioni di lettura sono di età compresa tra 25 e 44 anni.

L’e-commerce aiuta a scoprire le novità

In particolare, chi ha tra 24 e 34 anni indica come primo touchpoint i suggerimenti trasmessi da booktoker e influencer, mentre chi ha tra 35 e 44 usa più i motori di ricerca per scoprire nuovi titoli e autori.

La rilevanza dell’e-commerce per la scoperta di novità editoriali cresce con la propensione alla lettura. Per i lettori forti è il secondo touchpoint (28,8%) dopo le raccomandazioni di amici e conoscenti (44,2%), ma prima dei contenuti social di influencer e BookTokers (25,2%), vetrine (25,2%) e recensioni online (24,5%).
Ma anche per il 37,1% di lettori che acquistano solo in negozi fisici i canali online rappresentano un punto di riferimento importante per la scelta del libro.

Meglio acquistare online o in libreria?

In generale, per il 63,7% dei lettori italiani i negozi online sono complementari alle librerie, ma più il lettore è forte più è propenso a utilizzare formati diversi.
Tra coloro che usano un solo tipo di formato, quelli che leggono solo eBook leggono più frequentemente, a conferma che il canale digitale supporta la domanda di lettura dei lettori forti.

Ma più le persone leggono più acquistano libri differenziando i canali (online e offline). Infatti, oltre il 70% dei lettori forti ha un approccio multicanale all’acquisto, e negli ultimi 12 mesi quasi il 60% degli acquirenti ha acquistato sia in negozio sia online. Il 46,4% della popolazione online, invece, ha acquistato almeno un libro in un negozio fisico e il 46,8% almeno un libro online.

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Le emoticon sulla bolletta riducono i consumi

Inflazione, prezzi dell’energia e caro vita spingono a rivedere le abitudini di consumo. Ma un progetto dell’Università di Trento punta a convincere le persone ad adottare un atteggiamento non solo più sobrio ma anche più consapevole sui consumi. Come? Attraverso una comunicazione immediata, anzi, ‘parlante’, dei propri consumi energetici.

Secondo i risultati della ricerca ‘Emozioni per un consumo energetico sostenibile: un’indagine psicofisiologica’, svolta al Laboratorio di Neuroscienze del Consumatore (NCLab) del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, una ‘faccina rossa’ in segno di disapprovazione, ovvero, che indica un eccessivo utilizzo di energia elettrica, può convincere ad attuare comportamenti più virtuosi e sostenibili. 

Una metodologia sperimentale e neuroscientifica

In pratica, si tratta di ridurre i consumi energetici grazie a un feedback energetico personalizzato ‘emozionale’ (emotional energy-alert).
Di fatto, la ricerca ha confrontato le reazioni comportamentali e fisiologiche dell’utente di fronte a diversi tipi di feedback energetici.

Nella condizione di controllo, come nella bolletta standard, al consumatore venivano comunicati il consumo e il costo. Nella condizione sperimentale (emotional energy-alert), invece, il feedback ricevuto sul telefonino riportava gli stessi dati con l’aggiunta di una faccina scontenta per l’eccessivo consumo.
Veniva poi inserita un’informazione in più: il consumo di energia del vicino di casa, per confrontare comportamenti, spese e risparmi.

Una novità rispetto alla bolletta tradizionale

“Questa è una novità rispetto alla bolletta tradizionale che di solito riporta i consumi in kilowattora e i costi – spiega Nicolao Bonini, responsabile del NCLab -. Aggiungere questo elemento di paragone con un referente sociale, il vicino di casa appunto, aumenta di circa tre volte la probabilità che il consumatore decida di ridurre il consumo elettrico. Oltre a ciò, la faccina rossa, arrabbiata perché si è stati spreconi, aumenta di un 3% la quantità di tale riduzione”.

Ogni consumatore coinvolto è stato testato nel laboratorio. “Abbiamo misurato la sudorazione emozionale, l’espressione facciale e i movimenti oculari, cioè reazioni non controllabili – aggiunge Bonini -. Quando le persone sono esposte al feedback emozionale con faccina e riferimento sociale ‘vicino di casa’, sudano di più rispetto alla situazione di controllo e indicano una maggiore emozionalità negativa”.

Un intreccio tra psicologia ed economia

“I nostri macchinari consentono di misurare dove il consumatore guarda, per quanto tempo, con che dilatazione pupillare, la sudorazione, i cambiamenti del ritmo cardiaco – continua il ricercatore, come riporta Agi -. Tutti questi indici psicofisiologici permettono di misurare l’emozionalità in maniera diretta. In questo modo integriamo dati verbali consapevoli con altri inconsapevoli. Se la politica – riflette il docente – incentivasse i fornitori di energia elettrica a utilizzare questi sistemi, che si chiamano ‘programmi comportamentali per il contenimento dell’energia’, ampiamente utilizzati all’estero, otterremmo gli stessi risultati di quelli a livello internazionale. L’uso di queste tecniche garantisce una riduzione di kilowattora consumati del 2,5%”.

Italiani, quanto ne sanno in fatto di sostenibilità?

La sostenibilità è un concetto noto a tutti, ma solo poco più della metà degli italiani è a conoscenza dell’Agenda 2030, mentre una percentuale ancor minore conosce gli obiettivi ESG.
Questo quadro emerge dall’anticipazione del Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab, intitolato ‘La cultura della sostenibilità in Italia’, curato da Eikon Strategic Consulting Italia Società Benefit.
Secondo il rapporto, il 97% degli italiani ha sentito parlare almeno una volta della sostenibilità, ma solo il 24% sa cosa significhi il termine ESG, acronimo di Environmental, Social, Governance, che rappresenta i criteri fondamentali per valutare la gestione ambientale, sociale e aziendale di un’impresa o un’organizzazione.

Gli obiettivi ESG sono poco noti, anche sui social

Questo dato sulla conoscenza degli ESG si riflette nei contenuti delle principali aziende italiane sui social network. Secondo l’Esg Social Channel Tracker dell’Esg Culture Lab di Eikon Italia Società Benefit, solo l’11% dei circa 146mila contenuti pubblicati da queste aziende tra gennaio e ottobre riguardava temi ESG. Eppure questi post hanno ottenuto un engagement rate migliore (0,48%) rispetto ai contenuti non legati a tali temi (0,31%).

Le aziende si concentrano soprattutto su temi ambientali

Per quanto riguarda i criteri ESG, il Tracker evidenzia che le aziende si concentrano principalmente sulla comunicazione dei temi ambientali (62%), mentre l’area sociale è più marginale (36%). Solo il 2% dei post è dedicato a progetti o iniziative legati alle donne o ai giovani, nonostante i post su queste tematiche raggiungano un engagement rate molto alto (0,64%).

Paola Aragno, vicepresidente di Eikon Italia Società Benefit, sottolinea l’importanza di tali analisi considerando che i social sono una delle principali fonti di informazione sugli obiettivi ESG. Il Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab rivela che oltre il 30% degli italiani apprende degli obiettivi di sostenibilità attraverso i social network, a pari merito con i giornali, con la televisione che rimane la fonte primaria di informazione (59%).

Le nuove sfide della sostenibilità 

L’intero Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab è presentato il 29 novembre a Palazzo dell’Informazione durante l’evento “Le nuove sfide della sostenibilità”, organizzato da Eikon Italia Società Benefit in collaborazione con il Gruppo Adnkronos. All’evento partecipano figure di spicco, tra cui il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la Presidente Popolari Europeisti Riformatori ed ex ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti.

Benessere Psicologico: nelle aziende il 76% ha sperimentato il burnout

Emerge dalla ricerca BVA Doxa commissionata da Mindwork: il 76% dei lavoratori e lavoratrici ha sperimentato almeno un sintomo del burnout, il 14% in più rispetto al 2022.
Il sintomo più diffuso, tra sensazione di sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale, cinismo rispetto al lavoro, è la sensazione di sfinimento, mentre per la GenZ, nello specifico white collar, è più frequente il calo dell’efficienza lavorativa (56%).

Ad avere ricevuto l’effettiva diagnosi di burnout è una persona su 5.
Tuttavia, è diffusa la difficoltà ad assentarsi dal lavoro per prendersi cura di sé, specialmente tra i e le blue collar. Solo il 19% ha effettuato più di 5 giorni di assenza dal lavoro a causa di questo fenomeno. La percentuale sale invece per white collar (55%) e dirigenti (62%).

Quando lavorare fa male

Il 58% di chi sperimenta malessere psicologico nella propria vita personale vive la stessa condizione anche al lavoro e viceversa. In particolare, una persona su 2 dichiara soffre di ansia e insonnia per motivi legati al lavoro.
Inoltre, una persona su 2 sperimenta condizioni di stress elevato. Un dato ancora più critico per i e le dirigenti (61%).
Purtroppo, sempre in continuità con i dati 2022, l’ambiente di lavoro si conferma come meno adatto a esprimere il proprio malessere rispetto al contesto familiare (41%).
Più della metà degli intervistati afferma di aver lasciato il lavoro per motivi di malessere emotivo a esso correlato (54%), fenomeno in evidenza per Gen Z e Millennials, in cui la percentuale aumenta rispettivamente del 66% e del 59%.

L’impresa dovrebbe promuovere il benessere psicologico

Oltre 9 persone su 10 ritengono quindi essenziale la promozione del benessere psicologico da parte dell’azienda (96%), ma nel 67% delle organizzazioni italiane il servizio di supporto psicologico non è presente.
Dove disponibile, viene valutato positivamente dal 51% dei lavoratori e delle lavoratrici appartenenti alla categoria blue collar.
In notevole crescita anche la quota di persone che valuterebbero positivamente la messa a disposizione del servizio di supporto psicologico (73%), più precisamente relativamente ai white collar (76%) e blue collar (79%).

Manca supporto per chi ha figli

Dato indicativo quello riguardante i e le caregiver, il cui 88% dichiara che questo ruolo ha un impatto considerevole sul proprio benessere psicologico. Sei su 10 dichiarano la necessità di supporto da parte dell’impresa nella gestione del proprio ruolo (59%), sebbene solo il 20% lo riceva.
Allo stesso modo, per l’89% di lavoratori e lavoratrici con figli il ruolo genitoriale ha un impatto significativo sul proprio benessere psicologico.
Più precisamente, 1 genitore su 2 riferisce il bisogno di supporto da parte dell’azienda nella gestione dei propri figli (48%).
Tuttavia, solo il 25% ritiene di riceverlo.

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Parchi divertimento: boom di ingressi, e il futuro è sempre più green

Il comparto dei Parchi Permanenti Italiani è composto da circa 230 aziende tra parchi tematici, faunistici, avventura e acquatici, che assicurano 30.000 posti di lavoro, tra fissi e stagionali, 60.000 con l’indotto.
Secondo i dati SIAE nel 2022 il settore ha generato un giro d’affari di 1 miliardo di euro, tra biglietteria (+75% sul 2021), attività di ristorazione e merchandising.
Cifra che sale a 2 miliardi di euro considerando l’indotto esterno (hotel, centri commerciali e altri servizi). Il miglior risultato dell’ultimo quinquennio, superiore anche ai numeri pre-pandemia (+10,9% sul 2019).
Emerge però la necessità di progettare un futuro green e definire le linee guida di uno sviluppo sostenibile del settore.

Ingressi: 18.463.628 nel 2022

Sul fronte dei visitatori, SIAE certifica per il 2022 18.463.628 ingressi, +72% sul 2021, anche se in lieve flessione (-5%) sul 2019, anno che aveva segnato il record storico.
Al dato SIAE vanno aggiunte le presenze relative a omaggi e operazioni promozionali, per un totale stimato di circa 20 milioni di visitatori.
A livello regionale, il primo gradino del podio è saldamente in mano al Veneto, che ospita la maggiore concentrazione di parchi divertimento, seguito da Emilia Romagna, Lombardia e Lazio.
Quanto alla stagionalità, i mesi estivi si confermano dominanti, seguiti da aprile e ottobre, caratterizzati da un ottimo tasso di affluenza nonostante il numero di parchi aperti sia inferiore.

Investimenti: 450 milioni nel prossimo triennio

Il trend descritto dai dati SIAE prosegue anche nei primi 3 trimestri 2023, complici i 120 milioni di euro investiti da inizio anno in nuove attrazioni, spettacoli e ampliamenti.
La stima è di chiudere al 31 dicembre con un incremento del giro d’affari compreso tra l’8% e il 10%, arrivando a quota 22 milioni di visitatori italiani e 1,7 milioni di stranieri. 
Nel prossimo triennio sono previsti investimenti per circa 450 milioni di euro, che oltre a migliorare la competitività dei parchi italiani sul mercato internazionale, avranno immediate ricadute positive su indotto e occupazione, migliorando anche l’attrattività turistica dei territori di riferimento.

Sostenibilità, fattore crescita per i parchi di domani

“I parchi divertimento vengono considerati energivori, ma in realtà lavorano da anni per ridurre il loro fabbisogno energetico e sono stati tra le prime aziende in Italia a promuovere una vera e propria cultura della sostenibilità, sensibilizzando anche il pubblico: dalla riduzione dei consumi di plastica alle pratiche virtuose basate sul riciclo e sulla circolarità, fino all’impiego di energia da fonti rinnovabili – commenta Maurizio Crisanti, segretario nazionale dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani durante la 22° edizione dei Parksmania Awards -. La sfida di oggi, però, è trasformare questa proattività in una vera e propria strategia progettuale, affinché la sostenibilità diventi fattore stesso di crescita per i parchi di domani. Un elemento imprescindibile per garantire un’offerta di tempo libero di qualità alle generazioni future”.

Generazione Z: i giovani e il sogno della casa di proprietà

I ragazzi della Generazione Z, ovvero i nati fra gli anni 90 e i primi 2000, hanno ancora il mito della casa di proprietà. Lo rivela una recente indagine condotta dal Gruppo Gabetti in collaborazione con la società di ricerche Toluna. Si scopre così che il 38% dei giovani tra i 20 e i 30 anni ha l’intenzione di acquistare un’abitazione nei prossimi cinque anni. 

Acquisto o affitto?

All’interno della Gen Z, circa il 40% dei giovani desidera possedere una casa, mentre il 27% preferisce l’affitto. In generale, il potenziale acquirente “tipo” ha tra i 25 e i 30 anni, un lavoro stabile e convive già.
Al contrario, chi opta per l’affitto tende ad avere un’età inferiore (20-24 anni), studia ancora e vive con i genitori o coinquilini.

Come si ricerca la casa perfetta

La maggior parte dei giovani ha già iniziato a cercare la sua futura dimora. Il 47% degli appartenenti alla Generazione Z controlla le offerte online, il 40% condivide i propri progetti e desideri con amici e parenti, mentre il 38% si concentra soprattutto sulle possibilità di spendere meno.  In questo contesto, i canali digitali giocano un ruolo predominante nella ricerca della proprietà ideale.

Il 65% degli intervistati utilizza siti web o app specializzate, canali digitali di agenzie immobiliari, blog e gruppi sui social. Il 60% si affida ai consigli e alle raccomandazioni di amici e familiari, mentre il 46% si basa sui canali tradizionali, come agenzie immobiliari, pubblicità, annunci e cartelloni.

Il ruolo delle agenzie immobiliari

Nel caso delle agenzie immobiliari, lo studio ha dimostrato che esse sono fondamentali, soprattutto per chi ci ha già avuto a che fare (52% contro il 35%). Le agenzie rappresentano il canale principale per l’ingresso nel mercato immobiliare, specialmente tra i giovani interessati all’acquisto rispetto a coloro che preferiscono l’affitto (38% e 32% rispettivamente).
La percezione dell’agente immobiliare è quindi più che positiva, anche perchè i giovani acquirenti riconoscono ai professionisti il ruolo di facilitatori nel processo d’acquisto, prestando particolare attenzione agli aspetti burocratici e all’assistenza legale.

La necessità di rapporti reali 

Nonostante il canale digitale sia solitamente considerato più rapido e agevole per le operazioni immobiliari, la maggioranza dei giovani (60%) ha espresso il desiderio di avere un contatto diretto con un agente esperto.
I potenziali acquirenti cercano una relazione con un professionista serio, affidabile, empatico e in grado di comprendere le loro esigenze.

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Il Cloud italiano? Oggi vale 5,5 miliardi di euro

Il mercato del Cloud italiano nel 2023 ha continuato a crescere in modo significativo, raggiungendo un valore complessivo di 5,51 miliardi di euro, con un aumento del 19% rispetto all’anno precedente. Questo consolidamento del mercato è il risultato di una crescente consapevolezza tecnologica tra le imprese italiane, che hanno intrapreso percorsi di digitalizzazione sempre più orientati verso l’uso del Cloud. 

La vera trasformazione è ancora lunga

Tuttavia, la strada verso una vera trasformazione culturale e organizzativa è ancora lunga. La componente Public & Hybrid Cloud, che comprende i servizi offerti da fornitori esterni e l’interconnessione tra Cloud pubblici e privati, ha registrato la crescita più significativa, con una spesa di 3,729 miliardi di euro, rappresentando un aumento del 24% rispetto al 2022. Questo settore sta diventando sempre più centrale nel panorama del Cloud italiano.

I servizi infrastrutturali (IaaS) hanno registrato una crescita del 29%, raggiungendo un valore di 1,511 miliardi di euro, alla pari con i servizi Software (SaaS), storicamente più diffusi. Questo aumento è stato sostenuto dalle grandi imprese, che hanno allocato i loro budget su progetti strategici pluriennali con contratti a tariffe bloccate, mitigando così gli effetti dell’aumento dell’inflazione.

Il Public & Hybrid Cloud registra la crescita maggiore 

Il Public & Hybrid Cloud rappresenta una parte significativa del mercato, con una spesa di 3,729 miliardi di euro e una crescita del 24% rispetto al 2022. Allo stesso tempo, il Virtual & Hosted Private Cloud, che comprende i servizi infrastrutturali presso fornitori esterni, ha raggiunto 1,034 miliardi di euro, con un aumento del 9%. La Data Center Automation, che riguarda la modernizzazione delle infrastrutture on-premises, è cresciuta del 10%, raggiungendo un totale di 748 milioni di euro.
All’interno del Public & Hybrid Cloud, l’IaaS ha registrato la crescita più significativa, raggiungendo un valore di 1,511 miliardi di euro (+29% rispetto al 2022) e rappresentando il 41% del totale. Questo aumento è stato favorito soprattutto dalle Virtual Machine, che sono strumenti abilitanti per lo sviluppo di nuovi servizi legati all’Intelligenza Artificiale generativa. Il PaaS ha registrato una crescita del 27%, raggiungendo un totale di 686 milioni di euro, grazie alle opportunità legate all’Intelligenza Artificiale e all’Analytics.

Le grandi imprese concentrano la spesa

La spesa Cloud in Italia è ancora prevalentemente rappresentata dalle grandi imprese (87%), ma le PMI stanno aumentando l’adozione di servizi nel Public Cloud (+34%), raggiungendo un totale di 478 milioni di euro nel 2023.

Le grandi imprese hanno ormai spostato oltre la metà delle loro applicazioni aziendali (51%) nel Cloud, ma ci sono ancora sfide da affrontare per una vera trasformazione nell’uso della tecnologia. Una cultura organizzativa diffusa misura ancora l’apporto del Cloud principalmente in termini di risparmio sui costi, invece di considerarlo come un catalizzatore per l’innovazione e la digitalizzazione. Questa mentalità inibisce la vera trasformazione.

La sfida del Cloud Financial Management

Una delle sfide future per le grandi organizzazioni sarà il Cloud Financial Management, ovvero la gestione delle risorse e dei costi del Cloud in modo più adatto ai modelli as-a-service. La revisione dei processi di IT Financial Management, che oggi rappresentano una priorità per molte imprese, potrebbe essere un passo importante verso nuove modalità di lavoro tra la Direzione IT e il business. Tuttavia, moltissime imprese italiane (74%) continuano a gestire le risorse e i costi del Cloud secondo le logiche tradizionali dei sistemi on-premise, creando difficoltà gestionali e rallentando gli investimenti digitali.

In sintesi, il mercato Cloud italiano sta crescendo in modo significativo, ma è necessario affrontare sfide culturali e organizzative per sfruttare appieno il potenziale del Cloud come motore di innovazione e trasformazione digitale.

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Imprese familiari: formazione necessaria per rimanere sul mercato

Sette imprese familiari su dieci stanno investendo in formazione nel periodo compreso tra il 2022 e il 2024, e hanno già fatto altrettanto nel triennio precedente alla pandemia. Questo impegno mira a sviluppare le competenze dei dipendenti e ad affrontare con successo le sfide dei cambiamenti in corso. Tra i giovani imprenditori, la propensione a investire nel capitale umano è particolarmente elevata, con il 73% di loro che sta dedicando risorse alla formazione. Al contrario, le donne alla guida di aziende (66%) e le piccole imprese (65%) faticano di più a investire in formazione, anche se avrebbero maggiormente bisogno di sviluppare le competenze dei loro dipendenti per affrontare le sfide del cambiamento. Tuttavia, in generale, la percentuale di imprese familiari che investono in formazione sia nel periodo 2017-2019 che nel 2022-2024 è inferiore rispetto alle imprese non familiari (rispettivamente il 69% contro il 77%).

Un’analisi su 4.000 aziende

Questi dati emergono dal rapporto “Strategie e politiche di formazione nelle imprese familiari”, condotto da ASFOR, il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne e la CUOA Business School su un campione di 4.000 imprese, di cui 3.000 nel settore manifatturiero e 1.000 nei servizi, con un numero di dipendenti compreso tra 5 e 499. Il rapporto comprende anche l’analisi di 10 casi di successo di imprese familiari e è stato presentato a Roma nell’ambito dell’evento “Il capitale umano e strategie nelle imprese familiari” in collaborazione con Unioncamere. Il presidente del Centro Studi Tagliacarne, Giuseppe Molinari, sottolinea l’importanza dell’investimento nel capitale umano per sostenere la crescita delle imprese familiari, che costituiscono l’89% del tessuto produttivo italiano. La formazione può contribuire ad aumentare le competenze necessarie per gestire i cambiamenti e l’innovazione.

Investimenti per migliorare competenze esistenti e nuove

Il rapporto rivela che il 66% delle imprese familiari ha investito o continuerà a investire nella formazione per migliorare le competenze tecniche e professionali esistenti (up-skilling), mentre il 52% punterà allo sviluppo di nuove competenze tecniche e professionali (re-skilling). Solo il 35% delle imprese sta programmando corsi per migliorare la responsabilizzazione, l’intraprendenza e l’innovazione delle risorse umane (intrapreneurship), e solo il 25% intende migliorare le competenze manageriali per gestire nuovi modelli di business. Tuttavia, il livello di istruzione dell’imprenditore sembra influenzare la propensione all’investimento in formazione, con il 78% delle imprese guidate da laureati che investono in formazione.

L’80% delle imprese si autofinanzia 

Per finanziare i percorsi formativi, l’80% delle imprese familiari si affida all’autofinanziamento, mentre solo il 29% utilizza i fondi regionali e il 23% i fondi interprofessionali.
Tuttavia, nel Mezzogiorno e tra gli imprenditori under 35, c’è una maggiore consapevolezza dell’importanza di investire nella formazione orientata al cambiamento. Queste imprese mostrano un interesse maggiore nell’intrapreneurship e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business rispetto alle imprese del Centro-Nord.

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Anche i cybercriminali aspettano il lancio del nuovo iPhone 15

L’entusiasmo per il lancio imminente del nuovo iPhone 15 non riguarda solo i fan di Apple, ma anche i cyber truffatori. Gli esperti di Kaspersky hanno infatti scoperto numerose truffe che sfruttano la passione per questa attesa innovazione tech, e prevedono diversi schermi fraudolenti con rischi distinti per gli utenti, tra cui possibili perdite di dati e finanziarie. Una delle tecniche più utilizzate fa leva sul desiderio di essere tra i primi a possedere l’ultimo modello Apple, offrendo la possibilità di acquistarlo prima del lancio ufficiale. Generalmente, i truffatori dichiarano di poter fornire gli iPhone in anteprima e offrono agli utenti l’opportunità di acquistarli, spesso a un prezzo maggiorato. Ma per assicurarsi l’acquisto ‘esclusivo’, le vittime devono effettuare un pagamento anticipato. Oppure, fornire i propri dati finanziari, oltre a quelli di identificazione personale.

Non solo rischi finanziari

Dopo aver effettuato il pagamento, ovviamente i truffatori scompaiono, lasciando le vittime senza l’iPhone promesso e senza i loro soldi. Ma oltre ai rischi finanziari questa truffa solleva importanti preoccupazioni relative alla privacy, dal momento che i dati rubati possono essere venduti sul dark market. Un’altra truffa, invece, offre la possibilità di vincere il nuovo iPhone 15 a fronte del versamento anticipato di una somma minima. Gli utenti sono infatti piuttosto attratti dal desiderio di ottenere gratuitamente un iPhone 15, a dimostrazione di quanto questo lancio sia atteso. Per partecipare al give away è necessario versare una piccola quota, spesso descritta come tassa di ‘gestione’ o ‘registrazione’.  Tuttavia, dopo il pagamento, gli utenti non ricevono nulla, con conseguenti perdite finanziarie.

I truffatori sfruttano l’entusiasmo per le novità tech

“Nell’era digitale, i truffatori si evolvono costantemente e sfruttano il nostro entusiasmo per le novità tech – ha dichiarato Tatyana Kulikova, Security Expert di Kaspersky -. È fondamentale essere attenti, verificare le offerte e proteggere le proprie informazioni personali. Se qualcosa sembra troppo bello per essere vero, probabilmente è così”. 
Per evitare di essere vittime di queste truffe, gli esperti di Kaspersky consigliano anzitutto di rivolgersi a venditori affidabili e autorizzati, soprattutto per quanto riguarda gli acquisti in anteprima.

I consigli per evitare le truffe

Inoltre, è sempre bene diffidare delle offerte che richiedono pagamenti anticipati per giveaway o per prodotti in pre-vendita. Al contrario, utilizzare canali ufficiali, come il sito Apple o di rivenditori autorizzati, oppure, fare una ricerca sul venditore e controllare le recensioni online dei clienti.
Per quanto riguarda la sicurezza online Kaspersky, consiglia di abilitare l’autenticazione a due fattori (2FA) per proteggere i propri account, soprattutto quelli collegati ai metodi di pagamento, e utilizzare una soluzione di sicurezza avanzata, Ma è bene anche rimanere aggiornati sulle truffe più comuni e sulle best practice di cybersecurity.

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