Anche Chat Gpt “teme” la matematica: perchè? 

Un recente studio ha rivelato come i modelli di linguaggio GPT-3, GPT-3.5 e persino GPT-4, considerino la matematica come un argomento ostico e difficile, generatore di ansia. Questa percezione negativa si riflette anche nelle esperienze di centinaia di studenti italiani, specie quelli che hanno affrontato gli esami di maturità.
Immaginatevi in navigazione su un mare tumultuoso, le onde rappresentano concetti accademici come la matematica, la scuola e gli insegnanti. È comprensibile che la navigazione in queste acque possa essere fonte di ansia, giusto? Secondo uno studio pubblicato sulla rivista peer-reviewed Big Data and Cognitive Computing, anche i grandi modelli di linguaggio come GPT-3, GPT-3.5 e addirittura GPT-4 associano la matematica ad aspetti fortemente negativi, come “difficile”, “frustrante” o “noiosa”.

Un dato rilevato attraverso le reti del “forma mentis comportamentale”

Questo particolare comportamento è stato misurato attraverso le reti del “forma mentis comportamentale”, una sorta di mappa cognitiva che consente di comprendere la percezione di un concetto osservando le sue associazioni con altri concetti. I risultati sono sorprendenti: nei loro ruoli di divulgatori del sapere, GPT-3 e GPT-3.5 hanno associato la matematica a concetti noiosi, ansiosi, problematici e negativi, in modo simile a un noioso viaggio su un’isola deserta, privo di qualsiasi associazione positiva con le applicazioni avventurose del mondo reale. 
“Questi risultati sono in linea con le percezioni negative della matematica che abbiamo riscontrato negli studenti italiani delle scuole superiori”, afferma il professor Massimo Stella, co-autore dello studio e docente di psicometria presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. “A differenza dei professionisti nelle carriere scientifiche, che vedono la matematica come un tesoro creativo e pratico, questi modelli la considerano qualcosa di astratto, separato dai progressi scientifici e dalla comprensione del mondo reale”.

Le possibili conseguenze

Questa tendenza a percepire la matematica in modo negativo potrebbe avere serie conseguenze. Questi modelli di linguaggio agiscono come specchi psico-sociali, riflettendo pregiudizi e atteggiamenti che sono stati incisi nel loro “DNA” linguistico durante l’allenamento. La mancanza di trasparenza implica difficoltà nel monitorare l’effetto delle risposte di questi modelli. Non è ancora chiaro se queste associazioni negative possano avere un impatto negativo su alcuni utenti, aggravando l’ansia matematica già esistente.
Gli autori dello studio ritengono che le interazioni sociali con questi modelli possano esacerbare gli stereotipi o le insicurezze preesistenti riguardo alla matematica tra gli studenti e persino i genitori. Queste interazioni potrebbero confermare atteggiamenti negativi già presenti o alimentare messaggi subliminali che la matematica è difficile per alcuni gruppi specifici. Questo fenomeno, noto come “minaccia dello stereotipo”, può influenzare le prestazioni accademiche. Tali atteggiamenti negativi possono ostacolare l’apprendimento delle competenze tecniche in matematica e statistica, creando una tempesta che blocca il viaggio verso l’isola della conoscenza.

I modelli di linguaggio e le loro “paure”

È quindi importante prendere in considerazione questo avvertimento: i modelli di linguaggio, pur essendo potenti strumenti, hanno le loro paure. Come noi, possono sentirsi intimiditi dalla matematica. La sfida per il futuro è navigare attraverso queste tempeste, correggendo tali pregiudizi, affinché questi modelli possano guidarci verso un mare di conoscenza più sereno e produttivo.

PMI ancora indietro per diversità, equità e inclusione in azienda

Sono molte le Pmi italiane che non ritengono di aver bisogno di iniziative DEI, ovvero, relative a diversità, equità e inclusione. Non individuano alcun vantaggio nell’adottarle e non hanno all’interno una figura dedicata né un budget allocato. Limitata, inoltre, è anche la presenza femminile nelle posizioni apicali dell’azienda, e scarsa la conoscenza della certificazione di genere.
A quanto emerge dalla ricerca Diversità, Equità, Inclusione nelle PMI italiane, commissionata da Valore D a Nomisma, le piccole e medie imprese hanno una concezione poco moderna rispetto ai temi di equità, inclusione e valorizzazione delle diversità. Una visione ancora acerba e prevalentemente ‘teorica’, dove l’approccio all’inclusività è spesso frutto della soggettività del singolo e della propria esperienza personale.

Una divergenza tra teoria e pratica 

Emerge quindi una divergenza tra teoria e pratica nell’affrontare le tematiche DEI. Nonostante una crescente attenzione verso gli ambiti che riguardano la sostenibilità, questa non si traduce in priorità di business per le aziende. Infatti, per il 20% delle Pmi questi aspetti rivestono un ruolo secondario e per il 21% non hanno alcun ruolo. Più in particolare, se il 59% delle Pmi adotta iniziative concrete a favore di diversità e inclusione, le dimensioni aziendali influiscono sull’approccio a questi temi. Le aziende di dimensioni più ridotte adottano nel 61% dei casi iniziative singole, mentre le medie imprese tendono ad avviare con maggiore frequenza (72%) veri e propri percorsi strategici.

La gestione delle iniziative DEI è affidata alla dirigenza aziendale

In generale le Pmi hanno difficoltà a percepire i vantaggi nel lungo periodo collegati alle iniziative DEI, considerate secondarie o non importanti dal 41% degli intervistati. Solo il 16% ha al suo interno una figura dedicata alla gestione DEI, e poco diffusi sono anche i responsabili degli aspetti di sostenibilità (35%). Nelle imprese che non hanno figure specifiche dedicate, la gestione è affidata alla dirigenza aziendale (titolare/imprenditore, AD, direttore generale, 44%) mentre per circa una PMI su tre non è prevista una delega specifica. Il 72% delle Pmi, poi, non ha attualmente, e non prevede in futuro, un budget dedicato a queste tematiche, numero che sale all’80% per quanto riguarda le piccole imprese.

Scarsa presenza femminile a livello apicale

Si evidenzia pertanto la mancanza di una visione moderna dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità. Spesso le azioni intraprese si limitano a iniziative di welfare e conciliazione vita/lavoro, e meno di una azienda su tre fa formazione sui temi DEI o networking con altre realtà.
Quanto alla parità di genere, il 63% delle Pmi conosce l’esistenza di una certificazione, ma a oggi la quota di Pmi che ha ottenuto la certificazione è ancora minuscola (1% tra le medie imprese), anche se un’azienda su tre potrebbe richiederla già nel prossimo anno. Inoltre, il campione intervistato evidenzia una scarsa presenza femminile a livello apicale. Nel 16% delle Pmi non ci sono donne in queste posizioni, e nel 57% le donne in posizioni apicali sono meno del 25%. 

Ue, gli italiani sono ancora fan dell’Europa?

Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Giornata dell’Europa, che commemora la dichiarazione storica del Ministro degli Esteri francese Robert Schuman del 1950, in cui espose l’idea di una nuova forma di collaborazione politica in Europa. In Italia, nonostante la diminuzione della fiducia nei confronti dell’Unione Europea, il rapporto sembra non essere compromesso. Secondo l’ultimo sondaggio d’opinione Ipsos, la mancanza di fiducia nell’UE è un fenomeno che riguarda molti altri attori istituzionali e l’Unione Europea si colloca anzi meglio delle istituzioni nazionali. Sono di più gli italiani che ritengono l’appartenenza dell’Italia all’Unione una cosa positiva (più di 4 su 10) di quanti non ritengono vero il contrario (meno di un quarto). Tant’è che la maggioranza degli intervistati si esprimerebbe a favore di un remain nel caso di un referendum sull’uscita dell’Italia dall’UE o dall’Euro. 

Sì al progetto europeo, ma con aggiustamenti

Tuttavia, il 50% del campione si dichiara favorevole al progetto europeo, ma non a come è stato realizzato fin qui. Le istituzioni europee sono avvertite come “lontane” dal 51% degli intervistati e troppo soggette all’influenza di Francia e Germania (il 51% ritiene che solo questi due Paesi abbiano un vero potere decisionale in Europa). È però forte la convinzione che, fuori dall’Unione Europea, l’Italia conterebbe meno nel mondo (51% d’accordo Vs. 29% in disaccordo). 

Servirebbe un vero Stato federale

Secondo il sondaggio Ipsos, l’UE dovrebbe evolversi in un vero Stato federale europeo, ovvero gli “Stati Uniti d’Europa”, secondo il 54% del campione. Questo Stato federale dovrebbe mettere al centro una gestione unitaria dell’immigrazione e una comune lotta al cambiamento climatico, che sono le priorità europee indicate rispettivamente dal 31% e dal 29% degli intervistati. Nonostante l’Europa non entusiasmi molto, sembra essere indispensabile e per tornare a far sognare gli italiani dovrebbe fare molti passi avanti.

Quale sarà il futuro dell’Europa?

Guardando al futuro, tuttavia, prevale un certo scetticismo. Alla domanda di immaginare l’Unione Europea tra dieci o vent’anni gli italiani si dividono sostanzialmente in tre blocchi: il 25% ritiene che l’UE sarà più forte e solida rispetto ad oggi, una percentuale identica pensa invece che si andrà nella direzione opposta (un’Unione più debole e divisa). Il restante 50% ritiene che non ci saranno grandi cambiamenti (21%) o non ha un’opinione a riguardo (29%).

Presto smartphone Android localizzabili anche se spenti 

Google sta sviluppando una nuova funzionalità per localizzare lo smartphone anche se è spento. Il servizio potrà creare una rete di tracciamento di dispositivi Android, e consentirebbe di individuare la posizione di uno smartphone smarrito sfruttando oltre 3 miliardi di dispositivi Android dislocati in tutto il mondo.  Secondo l’informatore Kuba Wojciechowski la funzione potrebbe chiamarsi Pixel Power-off Finder, e manterrebbe sempre abilitato il Bluetooth sul dispositivo, anche quando il telefono non è acceso, così come già accade per gli iPhone di Apple. L’azienda sta lavorando alla prossima generazione della funzione ‘Trova il mio dispositivo’ da oltre un anno, ha anticipato l’arrivo della ‘rete’ a dicembre e a gennaio ha iniziato a implementare un interruttore (‘Memorizza posizione recente’) per ‘Trova il mio dispositivo’. Che consentirà di attivare la condivisione della posizione del dispositivo.

Condividere la posizione ogni volta che la batteria scende sotto un certo livello

La funzione richiederebbe al telefono di condividere la sua posizione ogni volta che la batteria scende al di sotto di un certo livello. Questo, darebbe un vantaggio se il telefono ‘muore’ prima che ci si accorga che manca. Il codice sorgente per Android 14 iscritto al programma di accesso anticipato include un nuovo livello di astrazione hardware (hardware.google.bluetooth.power_off_finder), tuttavia, la funzionalità potrebbe richiedere un certo supporto hardware, e non è chiaro se i dispositivi Android esistenti sul mercato possono supportare tale funzione. Ma ci si aspetta che i dispositivi futuri siano dotati di hardware in grado di gestirlo. Non si sa però quando o se questa nuova funzione di tracciamento sarà disponibile.

La funzionalità ricalca quella di Apple implementata sugli iPhone

La funzionalità ricalca quindi quella che Apple ha implementato sugli iPhone, utile quando si smarrisce il telefono o viene rubato. La funzione è stata scoperta nel codice sorgente di Android 14 in fase di test, ed è probabile che venga resa disponibile intanto per i futuri modelli di smartphone Pixel, per poi arrivare su qualunque dispositivi Android. Funzionerebbe con una rete di tracciamento in maniera simile a quello che fa Apple con la funzione ‘Dov’è’, che permette ai possessori di dispositivi della Mela di comunicare con gli smartphone rubati che passano nelle loro vicinanze, e comunicare quindi la posizione al legittimo proprietario.

Tutto verrà svelato alla Google I/O?

Il tutto avverrebbe in maniera anonima e con la possibilità che la funzione possa essere disattivata dal legittimo proprietario, riporta Ansa.  Resta da capire come Google voglia sviluppare Pixel Power-off Finder dal punto di vista della privacy. Forse maggiori particolari saranno svelati alla Google I/O, la conferenza degli sviluppatori Google, che si terrà il 10 maggio.

ChatGPT, tutti ne parlano ma quanti lo conoscono davvero?

L’Intelligenza artificiale è il tema caldo di questo periodo, tanti che ha scalzato dalle pagine dei giornali il metaverso. E le prime “sommosse” contro questa novità arrivano anche in Italia. Di recente, ad esempio, i doppiatori hanno scioperato contro i turni massacranti e l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale come minacce per la loro occupazione. Insomma, ldivental’AI sta diventando sempre più popolare. Eppure, un’indagine condotta da The Fool, una digital intelligence company, ha rivelato che solo il 8% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare ChatGPT, un sistema di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI. Il 48,5% degli intervistati non ha mai sentito parlare di ChatGPT, mentre il 21,4% ne ha sentito parlare ma non è sicuro di cosa sia.

Non si conosce il fenomeno, ma interessa

Nonostante ciò, il 34% degli intervistati ha mostrato un certo interesse verso ChatGPT e la maggior parte degli utilizzatori lo usa almeno una volta a settimana, se non tutti i giorni, principalmente per migliorare o integrare il lavoro già svolto, sperimentare e divertirsi o cercare informazioni e fatti. La maggior parte degli utilizzatori ha dichiarato di trovare ChatGPT utile.

Preoccupa il possibile utilizzo poco etico

Tuttavia, il 58% degli intervistati è preoccupato per l’utilizzo poco etico degli strumenti di intelligenza artificiale, come la disinformazione o l’aiuto nei compiti scolastici. Inoltre, il 41% è preoccupato per l’impatto che gli strumenti di intelligenza artificiale possono avere sugli artisti e i creativi, mentre il 40% crede che i progressi nei tool di AI possano migliorare il lavoro. Infine, il 26% degli intervistati non è preoccupato per come gli strumenti di intelligenza artificiale possano essere sviluppati.

Obiettivo miglioramento a 360 gradi

In conclusione, la ricerca ha evidenziato una bassa consapevolezza dell’esistenza di ChatGPT tra gli intervistati, ma allo stesso tempo un discreto interesse. La maggior parte degli utilizzatori lo trova utile, ma ci sono preoccupazioni sull’utilizzo etico degli strumenti di intelligenza artificiale. The Fool ritiene che sia necessario capire come funzioni ChatGPT senza vincoli etici posticci e portare educazione di qualità a più persone possibile per migliorare la vita privata e professionale.

“Serve la volontà di cambiare orizzonti”

“Serve la volontà di cambiare orizzonti, di innovare. Forse anche la voglia di superare i nostri limiti, anche con strumenti come GPT. La AI è qui per restare e la convivenza significa portare educazione di Qualità a più persone possibile, senza vivere con la preoccupazione di essere sostituiti – afferma Matteo Flora, Founder & Board Director di The Fool – La rete ci cambia e siamo noi a dover capire come usarla al meglio per migliorare la nostra vita privata e professionale. Per questo, è necessario fermarsi ad analizzare con attenzione l’utilizzo delle applicazioni tecnologiche anche in contesti inerenti alla libertà di ricerca e di opinione. Credo fortemente che capire ‘alla base’ come funzioni ChatGPT senza vincoli etici posticci sia fondamentale per tutti”.

Casa green, direttiva Ue: quali sono le intenzioni degli italiani?

La direttiva europea sulle case green sta suscitando preoccupazioni tra gli italiani. Lo ha evidenziato un’indagine commissionata da Facile.it ai centri di ricerca mUp Research e Norstat e condotto negli ultimi tempi. La maggioranza degli italiani, più della metà, non conosce la classe energetica della propria casa e 1,2 milioni di persone non sanno nemmeno cosa significa questo termine. Questi dati preoccupanti evidenziano la necessità di aumentare la consapevolezza tra gli italiani sui temi della sostenibilità energetica e della classe energetica degli edifici.

Milioni di italiani obbligati ad adeguare le abitazioni

La nuova direttiva europea obbligherà milioni di italiani a ristrutturare le proprie case per rispettare i criteri di sostenibilità. Tuttavia, pur trattandosi di un tema che riguarda la gran parte dei nostri connazionali, solo il 20% dei rispondenti ha dichiarato di essere disposto ad adeguarsi. Dall’altra parte, l’esercito di chi non ne vuole sentire parlare è infinitamente più ampio, Sono quasi 15 milioni le persone che hanno detto che sistemeranno le loro abitazioni solo se riceveranno aiuti economici dallo Stato. Si tratta di un dato che sottolinea la necessità di un intervento dello Stato per garantire che i cittadini possano adeguarsi alla direttiva senza subire un eccessivo onere economico. Un’indicazione che non deve essere sottovalutata, soprattutto alla luce delle problematiche emerse con l’ex superbonus 110%, che ha coinvolto una platea di proprietari ben inferiore rispetto a quella che sarà toccata dalla nuova direttiva europea.

Piuttosto fuorilegge

E’ interessante notare che, fra i rispondenti all’indagine, sono poco meno di 2 milioni gli italiani (4,6%) che hanno dichiarato di essere disposti a sfidare la legge e ad adeguarsi solo se vengono scoperti durante un controllo. Ancora più allarmante un altra cifra: quasi 1 milione di proprietari è disposo a vendere la propria casa e andare a vivere in affitto per evitare la spesa della ristrutturazione.Questi numeri rappresentano un problema e richiedono un’azione concreta da parte delle autorità.

Una sfida importante ma che non si può vincere da soli

In conclusione, la nuova direttiva europea rappresenta una sfida importante per l’Italia, ma può anche essere un’opportunità per migliorare la sostenibilità del parco immobiliare del Paese. È fondamentale che lo Stato intervenga per fornire sostegno economico ai cittadini e aumentare la consapevolezza sui temi della sostenibilità energetica. Per il momento, non resta che aspettare le prossime mosse.

Quanto guadagnano i dipendenti italiani? In media 98 euro al giorno

L’Inps ha rilasciato il suo XXI Rapporto annuale sulle retribuzioni: e la retribuzione media giornaliera per i dipendenti a full time è pari a 98 euro.
Esistono però oscillazioni significative tra un contratto collettivo nazionale di lavoro e l’altro, poiché in sei dei principali ccnl la retribuzione media giornaliera è inferiore a 70 euro, mentre nell’industria chimica è pari a 123 euro. Ma superiori a 100 euro giornalieri risultano anche i valori medi nei gruppi di ccnl con meno dipendenti.
Per i dipendenti a part time la retribuzione media giornaliera è invece pari a 45 euro, e risulta inferiore a 40 euro al giorno per i dipendenti di alcuni comparti artigiani, come metalmeccanico, sistema moda, e acconciatura/estetica.

Il Tfs e i termini per l’erogazione ai dipendenti pubblici

Per quanto riguarda il Tfs, i termini per l’erogazione ai dipendenti pubblici variano a seconda delle cause di cessazione del rapporto di lavoro. Se la normativa vigente prevede il pagamento entro 105 giorni in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso del lavoratore, nel caso di cessazione per raggiungimento dei limiti di età o servizio, il pagamento va effettuato non prima di 12 mesi dalla data di cessazione dal servizio. In tutti gli altri casi, come ad esempio dimissioni e licenziamento, il pagamento sarà effettuato non prima di 24 mesi. L’erogazione della prestazione può avvenire in un’unica soluzione se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50.000 euro, in due rate annuali (superiore a 50.000 e inferiore a 100.000), o in tre rate annuali (pari o superiore a 100.000 euro).
In caso di pagamento rateale, la seconda e la terza tranche saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla data di decorrenza del diritto al pagamento della prima.

Andare in pensione prima di aver raggiunto i requisiti anagrafici o contributivi

Ai termini di pagamento previsti sulla base della causale di cessazione, la normativa aggiunge 90 giorni per gli adempimenti istruttori duranti i quali non maturano interessi di mora. Operazione che talvolta può determinare un ampliamento dei tempi di lavorazione delle istanze che si presentino incomplete sotto il profilo degli elementi utili al calcolo della prestazione. Inoltre, quando si va in pensione prima di aver raggiunto i requisiti anagrafici o contributivi, ad esempio usufruendo del beneficio Quota 100, i termini per l’erogazione del Tfs decorrono dalla data di raggiungimento del diritto teorico più favorevole, non dalla data di effettivo collocamento a riposo.

È possibile inoltrare la domanda per la richiesta di anticipazione 

Al momento dell’accesso alla pensione, riferisce Adnkronos, è possibile presentare una richiesta di finanziamento per una somma pari all’importo dell’indennità di fine servizio maturata, entro un massimo di 45.000 euro. L’Inps in tal caso, a fronte della presentazione della domanda online di anticipazione da parte dell’iscritto, ha 90 giorni di tempo per rilasciare la certificazione, e 30 giorni dalla data di notifica del contratto da parte della banca per produrre la presa d’atto, decorsi i quali la richiesta di anticipazione deve essere ripresentata. Il finanziamento dell’anticipazione autorizzata viene garantito dallo Stato tramite un apposito fondo di garanzia gestito dall’Inps.

Aumentano i prezzi all’ingrosso. I dati lombardi

I prezzi dell’agroalimentare, dei materiali da costruzione e dell’energia stanno toccando soglie decisamente elevate, che pesano sulle tasche delle famiglie e delle imprese. Per quanto riguarda l’agroalimentare, il settore dei cereali, in particolare frumento, mais, soia e oli vegetali, ha subito un forte rincaro a partire dallo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia, con conseguenze sui settori dell’hospitality e ristorazione, già gravati dal caro energia. Identificare le cause per il caro vita odierno è un’operazione complessa, ma necessaria. Di fatto, il 2022 si sta confermando come un anno di forte inflazione, dovuta a una combinazione di fattori, tra i quali i più recenti eventi geopolitici.

Il mercato dei cereali e dell’energia influenza anche quello del latte

Il mercato dei cereali e dell’energia influenza anche quello del latte, che proviene da un periodo di grande difficoltà a causa del Covid-19. Gli allevatori sono costretti a diminuire il numero di mucche da produzione, e di conseguenza, la quantità di latte sul mercato, da qui il rincaro di latte spot e formaggi. Aumenti anche nel settore della carta e dei materiali per l’edilizia, che forti di una rapida ripresa post Covid-19 non hanno potuto soddisfare con la propria offerta l’abbondante domanda di beni. I prezzi sono lievitati a causa della scarsità di materie prime, e alcuni sostengono, spinti da un ulteriore speculazione dei soggetti intermediari. 

La mancanza di materie prime ha fatto lievitare le importazioni dal Far East

“La mancanza di materie prime ha fatto lievitare le importazioni dal Far East, Cina, Malesia, Indonesia, a causa dei costi di nolo e forti speculazioni – dichiara Alberto Zanotti, vicepresidente della Commissione Prezzi per le materie prime per saponeria, raffineria e stearineria -. Gli effetti sono devastanti per le nostre industrie”. 
Davanti a tempi tanto incerti per le imprese diventa quindi indispensabile stare al passo con i prezzi.
Secondo alcune variazioni dei prezzi all’ingrosso monitorate dalla CCIAA di Milano Monza Brianza Lodi, per il mais nazionale ad aprile 2022 la quota è pari a 382 euro a tonnellata contro i 292 euro di febbraio 2022 (pre-guerra). Vertiginoso aumento anche per gli oli vegetali: se da settembre a dicembre 2021 si era verificato un aumento di 30 euro/t, da dicembre 2021 ad aprile 2022 l’aumento è stato di 460 euro/t.

Grande rincaro per la carta e i materiali da costruzione

Il latte spot invece in un anno è passato dal prezzo alla tonnellata di 315 euro ad aprile 2021 a 525 euro/t oggi. Grande rincaro annuale anche per il Cartone in fogli, che subisce un aumento del 68% dal 2021, e per la Carta per fotocopiatrici, che segue con un +23% nello stesso periodo. E ancora, per i materiali da costruzione, un aumento annuale del 50% per il polietilene reticolato espanso, un’isolante acustico, mentre i rottami di metallo e acciaio balzano al 75% in più in un anno.

Le autostrade italiane? “Bocciate” dai viaggiatori

Gli italiani sono severi nel giudizio nel confronto delle autostrade italiane. Lo rivela un recentissimo report di SWG, che evidenzia come i nostri connazionali siano generalmente poco contenti del principale servizio di mobilità del Paese, criticandone vari aspetti, dal costo dei pedaggi alla manutenzione del manto stradale, e promuovendo – seppur con voti non proprio eccelsi – i limiti di velocità attualmente in vigore e il sistema di controllo della velocità. L’altro aspetto interessante è che i giudizi, raccolti fra chi utilizza la rete autostradale italiana almeno una volta l’anno, non sono molto omogenei fra le diverse aree geografiche del Paese.

Oltre 6 italiani su 10 sono critici

Le percentuali raggiunte da chi si dice poco contento sono decisamente importanti: il 63% degli italiani si dichiara insoddisfatto con una votazione media pari a 5,7 su una scala da 1 a 10. Tale insoddisfazione emerge soprattutto nelle isole, dove il giudizio medio scende a 5,1, ma anche nel Nord-ovest, 5,5. Va un po’ meglio al Sud, dove il punteggio sale a 5,8, e al Centro, con una valutazione che arriva a 5,9. La sufficienza piena si registra solo nell’area del Nord Est, dove chi utilizza l’autostrada almeno una volta all’anno assegna una valutazione pari a 6,1. In particolare, l’aspetto più criticato è il costo dei pedaggi, che registra un voto medio pari a 3,7 con l’88% degli automobilisti che dà un giudizio negativo. Giudizi nettamente negativi anche per la percorribilità e la manutenzione delle infrastrutture autostradali. Giudizi ancora sotto la sufficienza anche per modernità (5,2) e sicurezza (5,5). Raggiungono invece la sufficienza la distribuzione delle stazioni di rifornimento e di servizio, la segnaletica e la copertura del territorio (carente però nelle Isole). 

I limiti di velocità? Sì, approvati

In termini di velocità, più della metà degli italiani ritiene che i limiti imposti in autostrada siano adeguati. A pensarla così sono soprattutto i più giovani, mentre il 42% degli uomini considera necessario un aumento dei limiti. Anche per quanto riguarda i sistemi di controllo della velocità quali autovelox e tutor, una parte consistente degli utenti delle autostrade crede che siano distribuiti correttamente. Meno di 1 rispondente su 3 ritiene che siano troppi, mentre solo il 22% li considera insufficienti, percentuale che però sale al 38% nelle isole. Insomma, la morale sembra essere una: seppur con qualche giudizio positivo, le autostrade ne devono ancora fare di strada per piacere davvero ai propri utenti.

Il 94% degli europei non sa quanta plastica c’è nei vestiti

Il tema della sostenibilità legata all’abbigliamento è uno degli aspetti più ‘misconosciuti’ dai consumatori. Tanto che il 94% degli europei non sa quanta plastica sia contenuta nei vestiti che indossa. È quanto è emerso dal nuovo rapporto di Electrolux, l’azienda produttrice di elettrodomestici, dal titolo The Truth About Laundry – Microplastic Edition, che ha coinvolto 15.000 adulti in quindici mercati europei. Chiamati a rispondere a un test sulle fibre, il 68% degli europei non sapeva infatti che il nylon è una fibra di plastica, e il 62% che il poliestere, la fibra più usata al mondo, è anch’essa plastica.
Parte del problema, secondo Sarah Schaefer, Electrolux VP Sustainability (Europe), è proprio la mancanza di consapevolezza del significato di ‘sintetico’.

Cosa significa ‘materiale sintetico’?

“Siamo diventati così abituati alla frase ‘materiale sintetico’ che la maggior parte di noi ha perso di vista il fatto che la maggioranza di questi materiali sintetici sono in realtà plastica – ha affermato Sarah Schaefer -. La nostra ricerca mostra che c’è un urgente bisogno di aiutare le persone a capire di più sui materiali che stanno acquistando e su come prendersene cura al meglio, oltre a incoraggiare il maggior numero di persone possibile ad adottare pratiche di lavaggio più rispettose dell’ambiente – ha continuato Schaefer -. Facendo una serie di piccoli passi, tra cui l’installazione di un Filtro per le Microplastiche, ognuno di noi può ridurre l’impatto ambientale dei prodotti tessili”.

Un filtro per non disperdere le microplastiche con i lavaggi in lavatrice

Electrolux, infatti, ha lanciato sul mercato un nuovo Filtro per le Microplastiche, che aiuta a prevenire il rilascio di fibre di microplastica dai tessuti lavati in lavatrice. Con questo dispositivo è possibile evitare il rilascio di microplastiche nell’ambiente in una quantità che può raggiungere fino a due sacchetti di plastica all’anno per famiglia. Di fatto, il nuovo Filtro per le Microplastiche può catturare fino al 90% delle fibre di microplastica, ovvero più grandi di 45 micron, rilasciate dagli indumenti sintetici durante il lavaggio.

Nel mare mezzo milione di tonnellate di microfibre di plastica all’anno 

Ma quanto pesa sull’ambiente il rilascio di microplastiche dagli indumenti sintetici? In pratica, riporta Adnkronos, ogni anno con il lavaggio dei tessuti circa mezzo milione di tonnellate di microfibre di plastica vengono rilasciate in mare. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), questa quantità equivale alla dispersione in mare di tre miliardi di magliette in poliestere ogni anno.